«Donne fino a epoca contraria» di Adelaide J. Pellitteri

Leggi un libro. Mettiti in ascolto. Scrivi ciò che ti rimane

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Vi presento il libro «Donne fino a epoca contraria»di Adelaide J. Pellitteri e, in coda, quattro chiacchiere con l’autrice.

Il bellissimo libro di Adelaide è una raccolta di racconti sulle Donne di ieri, oggi e domani. Fotografie crude, penellate invase di una quotidianità sconcertante di donne figlie e madri, ingenue e stronze, forti e deboli, ignoranti e scienziate.

La storia ci insegna che le donne non sono state trattate affatto bene. Se anche la cronaca ci suggerisce che poco è cambiato, come possiamo sperare in un futuro diverso? La donna saprà affrancarsi dal ruolo imposto dalla biologia, o sarà per sempre ingabbiata nelle sue perenni gabbie culturali? I racconti della Pellitteri, intrisi di una sensibilità femminile palpabile esplorano la predestinazione di un ruolo, la sottomissione, la cultura della molestia, fino a esplorare il futuro, in un bellissimo esercizio prossimo alla fantascienza.Confesso che per me leggere questo libro è stata veramente dura. Pur non aggiungendo fatti a quanto già sapessi, la mancanza di una speranza mi fa male, ma era da leggere. Non mi costava nulla lasciarlo in un angolo, ma dovevo chiudere il percorso tratteggiato da Adelaide con una scrittura semplice, precisa ed estremamente coinvolgente.Estratto dal racconto “Camurria”.«Mia zia, sorella di mamma – quella che mi ha spiegato come era prima il mondo – mi racconta sempre di avere avuto una mamma fata. Per lei inventava giochi e faceva magie, tipo fare apparire delle frittatine profumate (e secondo me era una mamma cuoca), le cuciva i vestiti per carnevale (e secondo me era una mamma sarta) e una volta l’ha pure salvata da un cane che voleva morderla (e io penso che era anche una mamma eroe). Credo che la zia abbia avuto un colpo di fortuna di quelli che papà chiama “colpo di culo”. Ma non ho capito se lei e la mia mamma hanno avuto la stessa mamma. Un giorno glielo chiederò.»

Ho avuto anche la possibilità di fare quattro chiacchiere con l’autrice. Potevo fare un video? Si. Un podcast? Anche. Io, invece, amo scrivere e, banalmente, chatto.
#Redazione «ciao Adelaide, ti ho inviato la mia recensione. Dimmi se mi sono perso qualcosa».In realtà le mie non sono recensioni, sono commenti. Il mio motto è “leggi un libro, senti cosa ti dice, scrivi cosa ti rimane”: #leggisentiscrivi. Per me è una sfida importante, per dare valore al tempo impiegato a leggere: significa che mi devo mettere in gioco nel tentativo di cogliere ciò è rimasto attaccato dopo il passaggio delle parole: niente valutazione letteraria, puro sentimento. E’ una sfida al buio. Quello che segue è il dialogo con l’autrice, via chat, che si svolge nell’arco di qualche giorno.
#Adelaide «Non ti sei perso nulla, e ti sono grata per queste parole belle e centrate. Il mio scenario è apocalittico. Alcune donne rimarranno madri nonostante tutto, altre le abbiamo già perse.»
#Io: «Ok. La frase sulla perdita della speranza l’avrò riscritta non so quante volte. Avevo paura di non aver capito: di esagerare o di essere troppo superficiale. Sicura che ti piaccia? La posso pubblicare? »
#Adelaide: «Va benissimo così. grazie”
#Io: «Grazie a te di aver scritto questo libro. Non so dove hai trovato la forza di affrontare tutti quegli scenari»
#Adelaide: «Ho cercato di scavare a fondo, di immaginare le conseguenze, insomma ho calcato la mano. In sintesi qualunque meta possano raggiungere, qualunque diritto possano conquistare perderanno ogni volta qualcosa, (le donne n.d.r) vivranno sempre un’epoca contraria. »
#Io: «Ma, libro a parte, lo pensi veramente? È il tuo pensiero o è un pensiero che hai intercettato e coltivato? »
#Adelaide: «Nel mio libro c’è anche provocazione. Però, vedi, io sono convinta che la donna abbia un ruolo importantissimo nella società ed è quello di educatrice sociale, cioè: finché una madre riesce a educare (bene) i figli, per la società c’è speranza. Non è un ruolo riduttivo, piuttosto penso che lo sia diventare cassiera, segretaria, banconista… a scapito della società umana, foraggiando quella commerciale (non tutte siamo Rita Levi Montalcini, Margherita Hack e via discorrendo). La società però cambia ed è giusto che ci sia un’evoluzione ma in tutto questo chi rimane inchiodato allo stesso punto (ruolo) è l’uomo, e allora non c’è progresso per la donna. Se lei deve comunque farsi carico di tutto, ogni cosa le riuscirà male. Il discorso è molto lungo e complesso. Che adesso qualche uomo sia in grado di stirarsi le camicie non è evoluzione, ma adattamento. Non so se riesco a spiegarmi. La donna avendo un carico eccessivo sia fisico (se deve partorire occuparsi della famiglia) del lavoro e delle proprie passioni che danno sapore alla vita, è ovvio che non può farcela. Se non ha un compagno all’altezza, ogni sforzo è vano (e anche qui si torna al ruolo di educatrice sociale; la donna deve educare l’uomo e portarlo all’evoluzione vera, compreso il rispetto per essa, “inculcando” la non violenza nei suoi confronti, e verso tutti in generale, nel bambino). L’evoluzione della donna in questi ultimi tempi a me fa un po’ paura, mi pare che tra tutte le conquiste quella che le stia riuscendo meglio sia imitare gli uomini nel loro aspetto peggiore. Alla fine cosa le sta costando tutta questa libertà che è riuscita a conquistare con decenni di lotte? Solitudine sentimentale (o instabilità nei rapporti), rinuncia alla maternità per la propria affermazione (che non sempre viene raggiunta ai massimi livelli) e in più criticata perché ha abbandonato la famiglia e questa si è sgretolata. Non voglio tediarti più di tanto che poi sembra che ti faccio il sermone dal pulpito 😂 Spero solo di essere riuscita a farmi capire. »
#Io: «quando dici “è ovvio che non può farcela”, cosa intendi? a fare che cosa?»
#Adelaide: «A fare e ad essere tutto: lavoratrice, madre, moglie (compagna), qualche ruolo deve per forza lasciarlo. Ho ascoltato tempo fa l’intervista di Giulia Maria Crespi, una tra le prime donne manager italiane che ha diretto il Corriere della Sera alla morte del padre. All’età di 92 anni (intervista rilasciata a Pane quotidiano del 2016 condotta dalla giornalista Concita De Gregorio) ha dichiarato che la donna dovrebbe lavorare solo mezza giornata per occuparsi dei suoi figli. A tale affermazione la giornalista le ha detto: Scusi lo dice lei che è stata una delle prime donne manager!? E lei ha risposto: “Da madre so di avere fatto molti torti ai miei figli”. “Ecco – ho pensato – , e siccome i figli non sono solo quegli ometti che teniamo in braccio, ma uomini che andranno per il mondo a fare danni o cose prodigiose, allora è facile comprendere quanto sia importante il ruolo della madre»
#Io: «L’argomento è molto delicato, discusso, sempre di cronaca. Per me è molto sentito. A livello media, però, si sta vivendo un’esasperazione dell’argomento. Da una parte ci sono i soliti “marte contro venere”, poi ci sono gli argomenti seri sulla cultura non paritetica, poi il dramma delle violenze. Si parte da un problema antropologico, passando per uno culturale per arrivare a un problema di sicurezza, mescolando tutto e creando la fazione uomo e la fazione donna. Le fazioni non hanno mai portato a nulla di buono: hanno sempre esasperato le situazioni senza portare a un cambiamento reale.»
#Adelaide: «Concordo pienamente”
#Io: «Hai avuto problemi per il tuo libro? Ti hanno mai attaccata per aver fotografato questa mancanza di speranza?»
#Adelaide: «Solo un circolo femminista ha rifiutato la presentazione perché letto il libro, la responsabile non lo ha ritenuto adatto alla loro associazione»
#Io: «qual è il tuo racconto più sentito, o a cui sei più affezionata?»
#Adelaide: «Non saprei, ogni racconto viene da una spinta forte quindi… »Ecco, su questa domanda devo insistere, perché so che per un autore è difficile scegliere un personaggio o in questo caso, un racconto. Si ha paura di fare torto agli altri.
#Adelaide: «Notte d’aprile sicuramente ha un posto nel mio cuore. Anche il racconto La conta l’ho sentito molto, ma non posso non citare I disordini del cuore, che poi è un po’ il fulcro del libro»
#Io: «Grazie Adelaide. Tu sai che anche io provo a scribacchiare. Per me più che i risultati, forse perché sono modesti, conta la motivazione. Qual è la tua motivazione a scrivere e pubblicare. Quale è stato l’interruttore che ha acceso la lampadina?»
#Adelaide: «La pancia perché, alla fine, proprio lei non ha voluto trattenere più niente e mi ha fatto riversare tutto nero su bianco. Il risultato è un paio di scarpe strette, sì, scomodine.»
#Io: «Purtroppo proprio oggi le affermazioni della Palombelli stanno rimbalzando in ogni direzione. Dall’altra parte c’è un articolo sul Corriere della Postorino ( https://www.facebook.com/583549329/posts/10159635439119330/ ) dove, alla fine, sottolinea che la soluzione è ‘lavorare insieme donne e uomini’. Sulla prima mi sembra ci sia poco da commentare. La parola ‘insieme’ è la chiave, ma visto ciò che è accaduto durante la pandemia, temo non avverrà mai»
#Adelaide: «Concordo sulla parola “insieme”, come ho già detto, se l’uomo non si evolve con noi aumenterà il divario e finiremo per creare una frattura profonda difficilmente risanabile. Riconoscere l’importanza della donna (mi riferisco a quella sensazione di inferiorità provata dalla Postorino) è fondamentale, solo che l’impostazione odierna è errata: oggi vali se sei indipendente. Punto. Non importa quello che fai, l’importante è poter dimostrare che puoi fare a meno dell’uomo. Ok, voglio farti un esempio: Un ingegnere (uomo o donna) progetta un palazzo, arrivano i manovali (uomini o donne) e tirano su il disegno dell’ingegnere fino a farlo diventare un palazzo vero, bello, con tanto di balconi e terrazzi. Ora ammetterai che è da stupidi fare i complimenti solo all’ingegnere giacché senza i manovali non ci sarebbe stato nessun edificio, così come non ci sarebbe stato senza l’ingegnere. Ecco cosa vuol dire cooperare: avere entrambi lo stesso valore. L’importante è che tutti i ruoli siano coperti con efficienza. Acquisire consapevolezza del proprio valore nella società, in quanto donna, è progettare realmente un futuro migliore. In fine, mi hai chiesto se c’è speranza. Io credo che occorra risvegliare le coscienze, ho molta fiducia nella donna, solo che oggi e sobillata da messaggi sbagliati; lei ha capacità inespresse a non finire, quindi la ritengo capace di tirarsi (e tirarci) fuori dai guai, per questo voglio concludere con questa mia frase: Dio si stancò di star dietro agli uomini e li abbandonò a loro stessi, la donna si rese conto del pericolo che correva l’umanità e, allora, si rimboccò le maniche e ricreò il mondo.»
#Io: «Grazie Adelaide. Ti auguro il meglio per il tuo libro»E la ringrazio ancora, per il tempo che mi ha dedicato. E oltre alla tema del libro, lasciatemi sottolineare che quest’autrice si è prestata a conversare con uno sconosciuto per amore del suo libro, del messaggio che la pancia le ha costretto a scrivere. Questo è lo spirito di tantissimi emergenti: l’amore per la propria creatura, che va ben oltre la mera pubblicazione.

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La memoria dei sensi

Racconto in otto minuti per 1000 parole, circa…

L’acqua sgretola la stradina di campagna da anni. Gli argini avanzano verso la mezzeria come a conquistare una collina. L’auto serpeggia esperta a velocità folle. Lo specchietto destro è saltato contro un ramo troppo curioso. Non importa. Il cavalcavia in costruzione è ormai visibile oltre la rotonda

Come giochi di luci natalizie, una freccia lampeggiante mi acceca mentre mi avverte di svoltare a destra. Le sospensioni arrivano a fondo corsa contro il cordolo. Dei nastri di plastica si appiccicano sul parabrezza. Sento le barriere di metallo incastrarsi sotto il fondo dell’auto. Sono certo che sfolgorano sul cemento. Peccato vedere solo pochi riflessi, mi sarebbero piaciute. I dischi abrasivi che tagliano l’acciaio mi affascinano. Le scintille sulle gambe fanno paura, come la prima volta che si fa l’amore. Inalare profondo l’odore di metallo bruciato. Mi piaceva l’inerzia della smerigliatrice che resiste ai cambi di direzione. Il perché l’avevano spiegato a scuola. Non saprei ripeterlo, ma è come per la bicicletta, che resta in piedi solo se girano le ruote. La fisica ha il gusto della magia.L’auto oltre il cavalcavia, cade con eleganza. E punta il torrente. Essere senza peso ha il sapore di un nodo allo stomaco. Anche il primo bacio. La sberla sorda degli airbag mi mette in una pausa senza misura. Sono riverso su un fianco, pieno dei frammenti del finestrino. Il petto è schiacciato tra il sedile e il volante, ma il diaframma è libero di far scorrere ossigeno nei polmoni. Qualcosa di forte e pungente mi blocca le gambe. Il cuore batte ancora, ma risuona d’impotenza. L’acqua è rumorosa appena sotto il vetro infranto. Fredda e limpida. L’avessi saputo prima, avrei costruito una zattera sulla quale sdraiarsi. Sarei rimasto ore ad ascoltare l’acqua scivolare tra i sassi. Ancorati alla loro convinzione di appartenere a quell’angolo del fiume, li avrei guardati consumarsi poco a poco. Fino a diventare trasparenti alle correnti. Lucenti al sole. Pronti a rimbalzare una due dieci volte sul pelo dell’acqua, senza scomporsi. Il primo salto di un sasso lanciato sul fiume, è un fremito di conquista. E di invidia.Anche i salmoni sanno rimbalzare in pochi centimetri d’acqua. Si inerpicano per fiumi, torrenti e ruscelli. Non si limitano a nuotare. Lottano, scintillanti e atletici, anche nelle pozzanghere. Per sopravvivere fuggono dalla propria terra. Senza rinnegarla, vi fanno ritorno. Più e più volte, fino a quando non muoiono, sfiniti. Mi correggo, l’invidia ha il colore dei salmoni.Le lamiere nelle gambe mi pungolano continuamente, come un cilicio. Ogni tanto una goccia cade nell’acqua. Mi tiene sveglio quando vorrei dormire. Ci metto un’eternità a capire che è il mio sangue sfuggito ai pantaloni, ormai zuppi. Mi sento un rubinetto difettoso. Andrà per le lunghe la cosa. Il terrore ha il sapore della vergogna di sopravvivere.”Mi sente?”. Pausa. “Mi sente?”, ripete qualcuno lì fuori. “Ho chiamato i soccorsi. Saranno qui a momenti!”. Cosa ci fa questo tizio in mezzo al nulla proprio sabato notte? Questo sfigato eroe di provincia, non ha una vita sua? Una ragazza da scopare o una madre da accudire? So che la vendetta odora della sua auto che brucia.I suoi passi affondano mentre mi gira attorno e del pietrisco viene scagliato contro il tettuccio. Fa lo stesso rumore della pioggia sul tetto sottile della mia vecchia casa. Quella a cui non faccio mai ritorno. Dal portone alla chiesa c’erano quaranta gradini in cinquanta metri dentro uno stretto budello di case. La pioggia non poteva che rimbalzare sulle pietre e ingrossarsi man mano che scivolava verso di noi. Io mi affacciavo alla porta a guardare l’acqua scrosciare sugli ultimi scalini della fessura che chiamavano strada. Se provavo a risalire quella corrente, eccitato dall’impresa, mia madre mi urlava dietro. “Ti ammazzerai su quei gradini. La corrente ti porterà via”. Ecco, il salmone odora di orfano.Ora i sassi contro la carrozzeria sono una tempesta di grandine vera e propria. I lampeggianti e le sirene sono dei crescendo sullo spartito. Sono arrivati i soccorsi. Un vecchio amico, Andrea, mi raccontava di quando lavorava al 118. Del cameratismo in ricovero. Gli orrori degli incidenti in moto. Quanti incubi per quel piede che non si trovava proprio. Le loro surreali conversazioni, sapevano di sacro e profano. “A noi non interessa perché sia finito così. Siamo qui a capire come farlo vivere”. Il dovere era sordo, come l’assenza di frenate prima del precipizio. L’emergenza ha l’odore acre dei fuochi di segnalazione lasciati a terra.Continuano a chiamarmi, ma io resto zitto e immobile. So che è solo un trucco per farmi uscire allo scoperto. È come quando giocavo a nascondino. Una volta sono rimasto nascosto nel buio di una cantina un intero pomeriggio, fino a sera. Me ne stavo schiacciato nell’incavo tra la porta spalancata e il muro. Trattenevo il respiro a ogni passo che sentivo avvicinarsi. I miei amici mi rividero solo il giorno dopo. Mi accusarono di essermene andato a casa. La verità è che nessuno ha mai creduto al mio coraggio. Amo nascondere la verità tra le righe di luce che filtrano da una tapparella. A volerlo, basterebbe mettere a nudo le proprie paure per smascherarmi. Allora meglio darmi del bugiardo. I segreti frizzano di bollicine, ma sono insipidi come la solitudine.”Mi sente? Ora stabilizziamo l’auto e iniziamo ad aprire un varco per raggiungerla!”. Al primo scossone, un nuovo dolore alle gambe mi coglie di sorpresa. Mi sfugge un lamento, e insieme qualcosa di caldo si riversa sulla mia pelle. Le gocce di sangue ora sono un rivolo sempre più consistente. L’istinto mi fa muovere di più. Inizio a tremare. Qualcuno mi ha sentito, e invoca il silenzio. Il pallido bagliore del cielo prima dell’alba rischiara l’acqua del ruscello sotto di me. E in quel momento in cui tutto tace, il gusto di fatica finalmente sparì.

Fantasy na cippa

Racconto in otto minuti per 1000 parole, circa…

«Mi chiamo Garion e sono uno stregone… Al vostro comando invocherò l’alito del drago d’argento a forgiar la spada del destino… Che non sia il sangue di una casata antica a controllare il destino degli uomini, ma l’impeto senza macchia del dio fatto bambino, divenuto uomo, rivelato re, guidato dalla spada del drago… Garion ha udito! la vostra parola, miei signori, è un impegno per me… nuqneH nuqneH pu’HIch ‘agh tlhuH…» «…vai con la nebbia…»«…choH wa’lIS ‘Iv raS meH cha’! be’ Reh wa’lIS ‘Iv raS meH cha’! parmaqQo”a’…»«…e stop!»«…nuq…»«Stop! »

« Stop! ho detto stop »«…neH.»«Garion Garion. Basta! Immobile! Non te perdere la posizione che so guai, eh? Alex? Alex! Fammi vedere il monitor. Ottimo ottimo. Le luci sono perfette, guarda che ombre sotto gli occhi, guarda er sudore sulla fronte. Però però, Alex vedi sto fumo nel finale, mentre fa i gargarismi… non dovrebbe essere più densa? Cioè, l’alito del drago dovrebbe essere denso per forgiare una spada, no? Altrimenti che spada del cavolo viene con la scigera di Milano? Andrè? Andrè? Sparisce sempre quello, con la Simo ci scommetto.»«È dietro di te»«Andrè Andrè bello e bravo il mio sceneggiatore. Allora, il problema è la fiatella.»«La fiatella?»«Se, se, l’alito del drago, la fiatella. Come dovrebbe essere? Argento liquido, no? Per forgiare la spada!»«L’alito d’argento?»«Essí! essí! Lo dice la battuta… Leggi Andrè, rileggi un po’ che sta scritto Pagina 5 riga 12.»«…stregone… Invocherò l’alito del drago a forgiar la spada »«Hai Sentito? Hai sentito! La fiatella forgia. Il fumo lo dobbiamo far più denso? No? No?»«Mah no! Dopo dice “Che il drago compia il suo destino” È il drago, non l’alito. »«Umm… Non la fiatella, ma il drago? Ma qui cambia tutto. Ennó! Ennò! Mica si era parlato di drago nella scena. Simona Simona, dove sta quella.»«Simona sta in ufficio »«In ufficio? In ufficio a farsi sbatacchiare dalla Franci. Qui stamo a fá la storia del cinema e quella sta in ufficio.»«Ma è la contabile»«Embè? Er cinema si fa in studio, mica in ufficio. Vabbe la chiamo… Simó? Simó? Bella mia carissima, lo sai quanto ti amo, no? Senti, ma che budget ciò per il drago?»«Drago?»«Si si il drago. Pagina 5 riga 12. Leggi Andr軫che il drago compia il suo destino»«Hai sentito? Hai Sentito? C’è un drago che fà na spada, roba grossa. Che budget ciò per il drago mistico fabbro?»«Non c’è nessun drago in budget. Troppo caro. Lo avevamo sostituito con la nebbia.»«La nebbia… nebbia?»«Si, la nebbia.»«Andrè, Andrè, ma che sceneggiatura m’hai fatto. Non ci stò a capì un cazzo. E’ un fantasy, senza drago, ma con la nebbia! A me sembra un documentario sui navigli di milano»«Ma guardi che è tutta na cosa figurata, che non sapendo che cosa inventarsi dicono che nella nebbia avvengono cose, si incontra gente, spade che appaiono, che scompaiono. In fondo è solo un fantasy, e fan fare tutto lo stregone, che sono io, no?»«Chi ha parlato?»«Io, lo stregone»«Andrè! Andrè! Ma che staddì questo? Come se chiama?»«Sandro Boccoli»«Sandrì, Sandrì! Ma che cazzo stai a dì. A Harry Potter te devi sta zitto e fermo»«Casomai Gandalf»«Zitto, ho detto! E fermo, che se perdi l’allineamento, dovemo rifà la scenografia. Simó? Simó? Il cambio scenografia è in budget?»«No. Solo una al giorno.»«Sandrì Sandrì bello? Una! La posa finisce quando cambi scena. Quindi, fai er mago e stai in scena fermo, e zitto! Andrè? Andrè? Che cazzo sta a di questo? Figurato che?»«Ha ragione. La nebbia serve per nascondere i dettagli, Non avendo Thor in budget, facciamo che nella nebbia avvengono cose, si vede gente, le spade appaiono e poi scompaiono. Come dice lui, In fondo è solo un fantasy!»«Andrè, Andrè, in fondo è solo un fantasy? Ma che stai a dì?»«Ma che dovevo prevedere? Due fabbri con la fucina a martellare la spada? E poi il fuoco, i permessi, i vigili del fuoco, l’assicurazione.»«Simó Simó? Ma che due fabbri li abbiamo in budget?»«…»«Vabbè. Vabbè. Quindi? Non famo vede niente?»«Abbiamo la nebbia, e lo stregone»«A nebbia! A nebbia! Ma che è credibile che nella nebbia ce stanno i fabbri, er foco e pure tu sorella?»«Ma certo che è credibile! Ma non lo vedi che con sta nebbia non se vede un cazzo in sto studio?»«Sandrì Sandrì! Parli e te movi. Giuro che se il film viene nu schifo per la nebbia che non nasconde il fuoco dei fabbri del drago, te rovino. Andrè Andrè che dici? Lo rovina?»«Ma non che non lo rovina.»«Simó, Simó, lo rovina?»«Ma non che non lo rovina.»«Ho capito. Ho capito. Semo rovinati. Però qualcosa glie la dovemo fa vede a sti poveri disgraziati a cui piace il fantasy. Andrè Andrè che abbiamo domani? »«Domani abbiamo la scena dell’alito, pagina 12 riga 3“e l’alito del drago entrò nello stregone, che librandosi nel cielo, sciolse la roccia con le sue saette e con le mani modello la spada”.»«Simó Simó, secondo me le saette non le abbiamo nel budget, è?»«No. Sempre solo nebbia e il Boccoli»«Sandrì? Sandrì bello! Domani glie facciamo vede che stregone che sei. Simó Simó, ma un fallo d’agento c’è le abbiamo nel budget?»«Ció il dildo di siffredi della Franci» «Sandrí Sandrì, hai sentito. Gli facciamo vede l’alito che scompare e ricompare nello stregone, bello mio, così impari a star fermo. Ma non te preoccupà, sai com’è nella nebbia avvengono cose, si vede gente, cazzate così. Abbelli belli, annamo a casa va. Acciao Boccoli mio.»

Buona Primavera

Binari dispari, senza senso, eppure…

Alla fine del 2020 mi auguravo un 2021 che portasse a frutto i disagi affrontati. Oggi posso solo dire “nulla di nuovo sul fronte occidentale”. Che non è molto festosa come frase. Poi il margine di speranza è risicato come non mai. I buoni propositi, irrealizzati. Le fatiche aumentate. I farmaci piú invasivi.

Che senso ha farsi gli auguri anche oggi? Povero 2022. Lo stiamo caricando del peso di risolvere tutto, proprio nel momento in cui si sta affacciando un periodo ancora più duro. Allora decido che il 2021 non termina oggi. Come quando l’anno scolastico non finisce per colpa di una materia da recuperare, io rimando il 2021… a primavera. Si! E solo allora canteremo la Goggi anche se non ha senso. Usciremo a festeggiare per le strade. I bambini saranno liberi di correre nei parchi e le mamme di spettegolare nell’intimità delle panchine. I padri torneranno a fare tardi la sera con l’alito di vino. Ci schiacceremo ridendo in metropolitana. Solo le libellule e le rondini continueranno a evitarci come la peste, ma non ci importerá, perché ci abbracceremo come alla fine di una guerra. Ecco, mi auguro che questo 2022 arrivi a primavera, e solo allora potremo tornare a sperare di spezzare le paure del passato. E riattizzeremo le vecchie amicizie anestetizzate da whatsup, in un nuovo ciclo di mangiare e bevute.Resistiamo ancora un po’.Buon 2022, in anticipo, a tutti noi.

Chet Baker

Ricordando …

Il Capolinea era un locale jazz della vecchia Milano. Lo trovavi sul naviglio, direzione Abbiategrasso, lontano dalla moda e dalla mondanità di Porta Ticinese, dalla darsena e da Porta Genova. Ci dovevi andare apposta al Capolinea, cercarlo nella nebbia, come Chet Baker.

Lo scoprii in quel locale, sulla copertina di un disco. “at Capolinea”, registrato nel 1983, in una formazione quasi tutta Italiana: Bruno Martino (Piano), Bruno Brighetti (paroliere), Nicola Stilo(chitarra e flauto), Riccardo dal Frà (basso), JJ Johnson (trombone), Leo Mitchell (batteria), Diane Vavra (sax). Chet Baker è l’immagine di un trombettista senza denti, gli occhi spiritati, come un bambino nato già vecchio. Un’anima delicata e tormentata del jazz americano. Come del resto è la sua musica. Nella mia playlist è vicino a Nina Simone, non per affinità musicale, ma per quella sofferenza che ti avvolge ad ogni ascolto. La tromba di Chet non è mai invadente, sussurra in una confessione continua. E l’intimità è la dimensione dove riesce a essere il migliore di tutti. In un’intervista disse che doveva tutto a Charlie Parker, che lo scelse tra migliaia di altri in un’audizione, validandolo come musicista e come uomo. La droga lo distrusse, come tanti nel mondo del jazz. Oggi sarebbe il suo compleanno (23 dicembre 1929 – 13 maggio 1988).

JOHN LENNON

Ricordando …

John Lennon

Il 9 ottobre 2021 John Lennon avrebbe compiuto 81 anni. Lennon, che lo dico a fare, era uno dei Fab Four, i Beatles, i quattro ragazzi che hanno cambiato la storia della musica. Era l’autore di molte delle canzoni di quella rivoluzione, l’artista che ha influenzato il mondo tramite la sua musica, le sue poesie. Anche il suo abbigliamento.Lennon voleva andare oltre l’ambito musicale, usando la propria influenza mediatica per invocare e sostenere la pace. Non l’assenza della guerra, ma la pace che viene dall’unione degli interessi comuni degli uomini. Riuscì, però, giusto a piantare un seme di speranza prima che potesse realmente fare la differenza. La sua vita è stata recisa, quasi 41 anni fa, l’8 dicembre 1980.Il mio problema con Lennon è che è diventato un personaggio dai contorni mitici. Pensiamo solo a “Imagine”. Per tutti è una bella canzone risplolverata ogni natale. Invece è una canzone chiaramente politica. Lo stesso Lennon la descrisse come “virtualmente un manifesto del comunismo” (sarà anche per questo che finì sotto controllo della CIA?). Anche se Lennon dal comunismo prendeva le distanze, qualcuno lo ha preso molto più alla lettera; ricordate l’intervista con Forrest Gump? Chissà se oggi questa canzone mantiene il suo spirito pacifista o invece, come affermano alcuni detrattori, rappresenta solo un inno all’omologazione mondialista. Chissà se ispira ancora le coscienze, o solo acquisti natalizi.Come la cronaca ci dimostra, la presenza dell’uomo che ebbe il coraggio di lasciare i Beatles è ancora calda, ma il suo spirito? Chi ha preso il testimone di Lennon? Bono? Clooney? Tutti troppo politically correct, probabilmente. Non me li vedo portare avanti una vera protesta ignorando ogni decenza mentre sono al vertice della loro carriera. Forse sono un idealista, ma Lennon me lo vedo a esultare sul muro di Berlino mentre viene fatto a pezzi. Lo vedo con l’uomo di piazza Tienanmen, alla testa della rivoluzione cantata. Nella rivoluzione arancione, nelle rivoluzioni arcobaleno, forse anche nella primavera araba. Me lo vedo a testa bassa, cupo, sul suo pianoforte durante le Guerre del Golfo, o in Palestina. Forse l’avrebbe alzata quell’11 settembre a New York.Io lo voglio immaginare ancora vivo, tra di noi, come nel film Yesteraday (correre a guardarlo), forse stanco della guerra e della lotta. Forse addirittura ritornato un po’ bambino come tutti dovremo, prima o poi. Me lo vedo li, mentre a qualsiasi nostra domanda risponde semplicemente: All I need is love, love, and love is all we need.Sarebbe un bel compleanno, John.

Cuori a Kabul

Leggi un libro. Mettiti in ascolto.

Cuori a Kabul – Autori Vari

Cuori a Kabul è un libro corale di un gruppo di scrittori straordinari che ho conosciuto per caso. Sono prosa e Poesie per l’Afganistan, una risposta collettiva, di pancia, per non restare inerti di fronte alla tragedia che si è consumata sotto i nostri occhi.

Complimenti a Pietro Fratta, promotore dell’iniziativa e a tutti gli scrittori.
Il ricavato del libro sarà destinato a Emergency per sostenere il suo aiuto fattivo alla popolazione afgana.

Il libro è disponibile presso il Mondadori store
https://www.mondadoristore.it/Cuori-Kabul-Poesie-Pietro-Fratta/eai978889372151


Caos, on porpuse

Racconto in un minuto, 200 parole… circa

Il treno Milano-Lecce d’agosto puzzava di umanità, povera, emigrata, che tornava a casa ad agosto, ammucchiata ovunque ci fosse spazio. Nel corridoio, seduto a terra, schiacciato, stavo tra mia madre e un ragazzone. Più in là, i suoi amici.

Avrà avuto vent’anni. Non ero mai stato così vicino a un estraneo prima, con tutti quei capelli e un barbone come ne vedevi solo al cinema. I ricci gli si allargavano sulla testa, per poi ricomporsi magicamente, ogni qualvolta scuoteva la testa per accompagnare quella musica strana che usciva dal suo mangianastri. Ogni mezz’ora girava la cassetta, che girava e girava all’infinito. Noi vicini sentivamo, sopportavamo tutto, di tutti. I sobbalzi, il caldo, la puzza e il sudore tra le nostre pelli. La musica erano suoni strani, veloci, che insieme al rumore delle ruote sulle traversine dei binari, mi sembravano solo un caos. Ero confuso da quella musica, come un ignorante. E ingenuo come un bambino.

Lo fissavo, il ragazzo, che mi rispose.
“E’ jazz”. Mi disse
“Non ci capisco nulla”
“Non sei il solo. Certi capiscono il jazz solo soffrendo. Altri, invece, non lo avrebbero capito neppure ascoltandolo mille volte.”
“Per me è solo caos” scrollando le spalle
Lui se la ride: “caos si, ma on porpuse”.

Da allora restammo in silenzio a lungo, quanto il viaggio. Poco dopo le pile scariche, lasciarono i rumori del treno a farci compagnia. Lui scese ad Ancona. Io ero solo a metà viaggio.

“Ti auguro di non capirlo mai”, mi disse girandosi appena prima di scendere i gradini del Milano-Lecce d’agosto.

«Mille scarpe da lucidare» di Deborah Rossi

Leggi un libro. Mettiti in ascolto.

Oggi vi presento «Mille scarpe da lucidare di Deborah Rossi»

Ci sono racconti che nascono filtrando i sentimenti, le paure e i sogni che vestite con l’abito buono della letteratura, infine diventano romanzi. Ci sono altre storie che vanno raccontate semplicemente senza fronzoli ne filtri perché esigono di essere trasmesse così come sono, perché bastano a loro stesse. Proprio come il libro “Mille scarpe da lucidare” di Deborah Rossi.

L’autrice ci presenta semplicemente la piccola Deborah, senza approfittare della tragicità della situazione e affondare la lama nella gola del lettore per strappare lacrime facili. Anzi, proprio grazie nell’assenza di malizia nell’autrice il personaggio esce dalle pagine e ci arriva nella sua drammatica sincerità. Entriamo così nell’istituto Mather Orphanorum di Cercemaggiore; assistiamo all’educazione sentimentale delle orfane raccontata dal punto di vista della bambina Deborah che cresce perché deve e accetta ciò che le viene imposto senza capire, senza avere alcuno strumento per potersi ribellare e pagando, anzi, ogni sua debolezza.

Ne sarebbe potuto uscire un semplice romanzo. Per fortuna, invece, abbiamo potuto leggere di una persona incredibile.

«La simmetria dei desideri» di Eshkol Nevo

Leggi un libro. Mettiti in ascolto

Oggi vi presento «La simmetria dei desideri» di Eshkol Nevo

Il tempo deve scorrere diversamente in Israele. Mentre leggevo questo libro non riuscivo a pensare ad altro. Avevo la sensazione che raccontasse una vita intera, mentre seguivo l’evoluzione dei personaggi, ma alla fine sono passati solo quattro anni. Quattro più i ricordi del passato. Quattro più le paure per il futuro.
Quattro sono anche gli amici protagonisti del racconto e quattro sono i desideri.
Quattro sono anche gli anni tra due coppe del mondo di calcio.
Quattro i cardini su cui si poggia la narrazione: l’amicizia come frontiera della nuova famiglia; i ricordi che cementano;
l’amore come spinta propulsiva; l’equilibrio come scopo finale. Facciamo cinque con il calcio. E sei con Sasha Cohen.

Che sia tutta un’immane metafora della questione israeliana? Non ne ho la più pallida idea. Non mi sembra, ma non mi stupirei. Gli scrittori questo fanno: ti raccontano di fattorie, ma parlano di politica. Di parlano di balene, ma intendono il mondo intero.

Io mi sono goduto la storia senza troppe domande, affascinato dai desideri, senza cercare risposte a ogni costo che non siano … come va a finire.