“Il fabbricante di suoni” di Alessandro Ricci

Leggi un libro. Mettiti in ascolto

«Buongiorno De Cesari, vediamo che libri ha portato oggi. Vedo tutti autori emergenti, eh? Bravo, bravo. Allora mi parli de “il fabbricante di suoni” di Alessandro Ricci»

Mi scusi prof, mi chiamo “Di Cesare”.
In che senso emergenti? Chi le ha dato questa lista? Era una cosa privata, uno avrà pure diritto a delle perversioni, no?

Mi faccia vedere … Ricci, Ricci, quello della favola? Ha beccato la favola? La favola!
Cosa c’è da dire su una favola?

Una favola è una favola! Breve vicenda, narrata in versi o in prosa, i cui protagonisti possono essere persone, animali o cose, e il cui fine è di far comprendere in modo facile una verità morale.

«De Cesaris, chiuda wikipedia, e mi parli di questo libro subito. O glie la faccio passare io la voglia di fare il trasgressivo»

Sarei sempre Di Cesare! Come l’imperatore.
Se dico che è un racconto fantastico per giovani uomini, va meglio? Anzi, vuole la verità? All’inizio, lo confesso, mi dicevo di lasciar perdere. Ho pensato più volte “ma cosa mi è saltato in testa di leggere una storia per bambini!”.
Con tutti i miei problemi, il covid, la pancia che chiama il lievito “mamma”, l’ultima cosa di cui avevo bisogno era un autore che, pagina dopo pagina, costruisce un mondo immaginario, ma non esagerato, piuttosto fuori fase oserei dire.

E cosa dire quando ho scoperto che la storia era incentrata sulla prima grande avventura di un ragazzino.

Ovvio che volessi chiuderla li.

«Senta Cesare, guardi che se ha lasciato perdere, finisce nei guai!»

Sarebbe “Di” Cesare, e no, non ho affatto lasciato perdere, però la sensazione era strana.
Un volta entrati nel nuovo mondo, quando la storia è entrata nel vivo, il viaggio non è stato più solo tra foreste condite con personaggi più o meno “coloriti” o “rumorosi”, ma si è messo a navigare sul confine tra disabilità e diversità, all’interno un universo imaginifico ricco e stimolante.
E il viaggio ha iniziato a richiedere una certa partecipazione.

Partecipazione … forse è stato questo il vero problema.

«Bene Giulio, adesso ci lamentiamo dei libri che richiedono partecipazione?»

È lei che mi ha chiesto cosa ne pensavo!
Si rende conto di cosa significa far affrontare una storia di fantasia all’adulto che sono, invece che al fanciullo che ero? Il problema è stato partecipare senza quella semplicità ed ingenuità che mi permetteva di andare oltre l’assurdo, il diverso, cogliendo la veritá. Abituato a razionalizzare tutto ciò che mi circonda per non perdere un’apparente sanità mentale, ovvio che ho trovato difficile calarmi nuovamente nel mondo del fanciullo.

«Di Coso, ma scherza? Se ha problemi con la sospensione dell’incredulità la vedo male a continuare questo corso in supercàzzola»

Guardi che non ho problemi con la sospensione dell’incredulità. Ad esempio amo star wars, o i film marvel, o mission impossible. Anche se non sono proprio favole: in fondo sono solo una trasposizione per esorcizzare gli orrori della vita reale.

Ora che ci penso Anche i film della Disney/Pixar come Cars, Toystory, Nemo, Rapunzel, sebbene siano delle belle favole, vengono “dopati” con riferimenti verbali o immaginifici che appartengono al mondo adulto, così da renderle più digeribili.

«Di Cenere, ha veramente tirato in ballo star wars, Marvel e pixar per parlare di un libro di favole? Mi sa che è alla frutta»

Scusi, pensavo a voce alta, erano solo esempi. Il punto è che con i libri è tutto più complicato. Il libro richiede uno sforzo di immedesimazione, di interiorizzazione, di ricostruzione della scena, della vicenda nel proprio spazio immaginario, guidati solo dalla mera parola di uno sconosciuto.

E in quale spazio la colloco una favola? Che fatica trovare uno spiraglio in questo cuore deturpato, indurito dalle tante cicatrici, annebbiato dai farmaci, distratto dal sesso. Che fatica abbassare le difese intellettuali, fare breccia nella razionalitá e ritrovare lo spazio per l’immaginazione, e parole e sentimenti semplici, spontanei, veri.

Sono meravigliato dal mondo che l’autore ha creato e dall’efficacia di un linguaggio semplice, costringendomi a ritrovare un po’ della semplicità e della spontaneitá perduta nel giorno in cui ho smesso di leggere topolino.
Anzi, perché ho smesso di leggere Topolino? Forse la costante necessità di razionalizzare tutto mi faceva percepire la semplicità come superficialità?

Questo libro è tutt’altro che superficiale. L’autore mi ha confessato che non ha mai smesso di leggere topolino, di fantasticare, di essere un eterno fanciullo. Ignoro quali siano gli effetti dell’essere un Peter Pan sulla sua vita quotidiana, ma sono evidenti quando si tratta di regarlarci storie senza tempo.

A me è piaciuto tantissimo.

«Bene Di Qualcosa, e con questo commento finale si è giocato l’esame. Direi che ci vediamo alla prossima sessione»

Ma no prof!!

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